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28/06/15

SARTI CAPITALE: KARALO' ROMA


Jassey, Malang, Adama e Muyey, vengono dal Mali e dal Gambia, dove facevano i sarti. Ora si sono uniti nel gruppo Karalò ("sarto" in mandinga), e producono abiti, borse e portatabacchi nel centro che li ospita a Roma. Nel pomeriggio, poi, seguono corsi di italiano: "Non si perdono nemmeno una lezione". E il loro nome inizia a circolare anche oltre la Capitale 
di Raffaele Nappi 
| 28 giugno 2015 

Jassey è alle prese con la sua macchina da cucire già dalle prime ore del mattino. C’è una sfilata da preparare, e gli abiti vanno adattati bene alle misure. Siamo a Roma, nel cuore del centro Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) Eta Beta. Loro sono i Karalò: Jassey, Malang, Adama e Muyey, vengono dal Mali e dal Gambia e hanno deciso di fondare un laboratorio sartoriale. “Il progetto è nato quasi per caso: qualche mese fa Jassey ha avuto la possibilità di partecipare ad un corso di cucito promosso dal Casale Podere, a San Basilio. Era l’unico uomo in mezzo a tutte donne”, racconta con entusiasmo Luigi, responsabile del progetto per conto della cooperativa Eta Beta. Il corso, però, è di breve durata, e anche se Jassey è molto preso arriva per lui il momento di tornare al centro, alla vita di tutti i giorni. “Quando tutto è finito, come operatori ci siamo detti che non potevamo illuderlo in quel modo”. 
“Hanno preso un foglio A4 disegnando con i pastelli il loro nuovo slogan: Karalò Roma”, racconta Giulia, operatrice della cooperativa Eta Beta 
Poi, scatta l’idea. Jassey lavorava in una sartoria in Gambia così come Malang, Adama e Muyey. Nel centro c’è una macchina da cucire, una vecchia Singer nera, che proprio Muyey ha ricevuto in regalo. Perché non far incontrare la loro passione per il cucito? Detto, fatto. La prima creazione dei ragazzi è proprio il nome: “Hanno preso un foglio A4 disegnando con i pastelli il loro nuovo slogan: Karalò Roma”, racconta Giulia, operatrice della cooperativa Eta Beta. In mandinga, infatti, Karalò significa proprio sarto. Il nome è la sintesi perfetta del loro passato e del loro presente. Jassey e compagni sono arrivati a Roma nel novembre del 2013. Da un anno sono ospiti della cooperativa, insieme ad altri 88 migranti. A gennaio 2015, così, i ragazzi iniziano con molto entusiasmo a creare i primi oggetti: da semplici borse a portatabacco.
 “Fanno quello che hanno sempre fatto nei loro Paesi d’origine. Non è un progetto che tentiamo di imporre o consigliare loro. È qualcosa che è già nelle loro vene” 
E con il passare del tempo arrivano anche le macchine da cucire. Una da Bari, una donata dalla nonna di Giulia, un’altra arrivata da Bergamo, una da Lecce, una da Roma, regalate da parenti e cittadini privati. I Karalò se le aggiustano da soli, le loro macchine da cucire. E così cominciano a realizzare i primi vestiti più elaborati, i primi prodotti in perfetto stile africano. “Fanno quello che hanno sempre fatto nei loro Paesi d’origine. Non è un progetto che tentiamo di imporre o consigliare loro. È qualcosa che è già nelle loro vene” La stanzetta del centro Eta Beta in zona Rebibbia è un trionfo di colori, stoffe, creazioni, vestiti. Ogni giorno, dopo la colazione, i Karalò si impegnano nel loro laboratorio. Nel pomeriggio, invece, i quattro partecipano ai corsi di italiano. “Per loro imparare la lingua è fondamentale. Non si perdono nemmeno una lezione”, racconta Jorge, operatore del centro. La cooperativa comincia a credere nel progetto, mettendo a disposizione dei ragazzi una piccola quota mensile da utilizzare per comprare stoffe, tavolini espositivi e materiali utili. E la solidarietà dei romani non manca: tappezzieri e sarti, infatti, donano materiali a Jassey e compagni. I ragazzi in poco tempo riescono a mettere da parte un piccolo fondo cassa con cui gestire l’attività e ricomprare le stoffe più vicine al loro gusto. L’obiettivo del progetto? In primis l’inserimento lavorativo. “Stiamo facendo di tutto per regolamentare la produzione, per dare ai ragazzi la possibilità di continuare questa attività anche in maniera autonoma, una volta fuori dal centro. Grazie al progetto, inoltre, miriamo anche a favorire l’integrazione e la socializzazione tra gli ospiti: sarebbe davvero bello iniziare un nuovo percorso, dando la possibilità ai tanti migranti di cimentarsi in attività simili. Sarebbe una valida alternativa alla noia delle loro giornate”, commenta ancora Luigi. “È fondamentale dare loro autonomia. È il minimo che possiamo pensare ed auspicarci per loro e per chi come loro resta parcheggiato per due anni in attesa di documenti che possano decretare lo status di rifugiato o di lavoratore. Se solo la burocrazia fosse meno soffocante e i tempi più brevi si potrebbe pensare di realizzare tanti progetti simili”. 

“Due anni di attesa per lo status di rifugiato o di lavoratore. Se solo la burocrazia fosse meno soffocante si potrebbero realizzare tanti progetti simili”


Il secondo obiettivo, invece, è quello di ricalcare questa esperienza per riproporla all’interno del centro, per utilizzare ed esplorare le competenze e le conoscenze dei beneficiari. “È fondamentale ascoltare questi ragazzi: è da loro, dalle loro esigenze, dai loro sogni che possono e devono partire i progetti”. Ad oggi i ragazzi di Karalò Roma hanno partecipato a più di 20 eventi sul territorio, tra fiere, feste in strada e in piazza, mercati del commercio equo e solidale. Tra i tanti inviti ce n’è uno curioso arrivato dalla provincia di Torino. “Non sappiamo come siamo riusciti ad arrivare fin lì – racconta Luigi – Ma per il momento restiamo con i piedi per terra. Torino è troppo lontana e il viaggio costa”. I sogni dei quattro ragazzi di Karalò, invece, volano veloci.

18/06/15

ITALIAN COMICS - Ginger lo zingaro

ITALIAN COMICS - Ginger lo zingaro

...Benché sia un quartiere “bene”, il giardino è fissa dimora di una ruspa
in azione contro inermi coccinelle accusate di portare via il lavoro al
giardiniere poiché sanno liberare i fiori dagli afidi in modo
naturale... questo invece di fare il lavoro per cui viene pagato dal
condominio... accanto a questa, dietro un cespuglietto di aeschynanthus,
un pallone sporco di cui nessuno si occupa se la ride di cuore.

Il portone è aperto. Nessuno nei paraggi. Ginger si infila nell’androne e
veloce scompare lungo le scale. Cinque piani senza farsi sentire, senza
farsi vedere, fino a quando improvvisamente non si apre una porta.
Ginger si ritrova con il cuore in gola. Vorrebbe fuggire, esita un
istante. Una donna dai capelli rossi si affaccia alla porta, sembra
voler uscire ma… una mano l’afferra per i capelli e...

XXXIII° ANNIVERSARIO DALL'INDIPENDENZA DI CAPO VERDE

XXXIII° ANNIVERSARIO DALL'INDIPENDENZA DI CAPO VERDE
J. Canifa Alves, l'On.le M. Monteiro, l'On.le Frias, l'On.le Sousa, rappresentante Caritas F. Pittau

Un libro può salvare la vita

  • edgar allan poe - racconti
  • Gabriel Garcia Marquez - Cent'anni di solitudine
  • Isabel Allende - il piano infinito
  • Luis Romano - famintos
  • Michael Ende - la storia infinita

MONDO MIGRANTE

Los Angeles – Charlize Theron è diventata cittadina americana. Ad annunciarlo la stessa attrice durante il David Letterman Show: “ho sempre desiderato essere cittadina americana, ma loro non volevano accettarmi… Ho dovuto studiare. Inoltre era difficile non pensare a qualche trucco all’esame, come quando a me, di madrelingua inglese e sudafricana, è stato dato un foglio e mi è stato chiesto di scrivere correttamente la frase: è una giornata di sole”.

Un premio Oscar all’ umorismo americano… ma si diamo loro anche un “Tapiro d’oro”.

Le rivoluzioni non necessariamente rappresentano delle soluzioni... sicuramente ti danno linfa vitale!

RAIZ-LONGE

RAIZ-LONGE
dietro: Benny Hopffer Almada, Giovanni Mone, Alfredo Pierantozzi; al centro: Marta Poretti, Viviana Alves, Jorge Canifa Alves, Cateline Hopffer Almada, Lorena Salvatori, Walter do Rosario; in basso: Hamdi Dahir, Linda Evora, Aderico Brito.