L'ho scoperto un'estate del 2001 a Lisbona conversando con Rosa, i miei fratelli Marisa, Helia ed Elton e mio padre... Sono rimasto, da allora, ingabbiato in quell'attimo di un passato che non si ripete più ma che è una piacevole macchia che non voglio togliermi di dosso... mai! Perché è segno dell'amore che la mia gente ha avuto e continua ad avere nei miei confronti, nei confronti di uno dei suoi figli che, un giorno, ha dovuto indossare gli stivali delle sette leghe e come un Petit Poucet ha dovuto incamminarsi per il mondo alla ricerca di una sopravvivenza propria e della propria gente.
Ma qual'è questa straordinaria tradizione che il popolo capoverdiano coltivava almeno fino agli anni ottanta?
Viviamo di musica, anche se il 10% non è musicista e ad essa si ricollega la tradizione di legare una canzone a tutte quelle persone che prendevano le valigie e si mettevano in viaggio.
Rosa mi ha raccontato che, quando montai su di un asino che mi avrebbe portato da Monte Trigo a Porto Novo e da qui a Sao Vicente, prima e Lisbona e Roma dopo, che la mia gente ha chiesto per me la rapsodia GRITO DE DOR del musicista HUMBERTONA. Così la radio che si occupava di migrazione e migranti e che tutti ascoltavano, perché tutti i capoverdiani sono legati, in un modo o nell'altro, al fenomeno della migrazione, trasmise questa canzone con gli auguri di buon viaggio da parte di tutta la mia gente.
Era il 1979, marzo, forse... e quasi quarant'anni dopo questo episodio è capace di farmi versare delle lacrime, cosa che non mi successe allora avvolto nella mia incoscienza di bambino.
questa è la musica della mia vita
A distanza di quarant'anni vorrei dire GRAZIE A TUTTA LA MIA GENTE, per essere stata presente sempre al mio fianco con questa canzone, nei momenti brutti quanto in quelli belli... se oggi sono qui e sono quello che sono lo debbo anche a voi alla mia amata gente capoverdiana... E in queste ultime righe mi sono fermato un istante e, non ho vergogna a dirlo, ho versato qualche lacrima.