Grazie Francesco!
STORIA di JORGE
da MixaWeb
di Francesco Bianco
“Io ho avuto la fortuna di avere un'insegnante straordinaria alle medie. Questa persona, oltre a stimare ognuno di noi come fossimo i suoi figli, cercava di tirare fuori da ciascuno le proprie caratteristiche artistiche. Ci portava dentro le storie, nel tentativo di farcela creare a noi una storia. Da qui è nata la mia passione per la scrittura. Potevo creare situazioni incredibili e personaggi fantastici. Ho continuato a scrivere brevi racconti, alcune poesie, vestendomi sempre dei panni dello 'scrittore italiano', sempre con ambientazioni italiane. Finché a un certo punto non ho riscoperto la mia parte africana. C'è stato un vero e proprio cambio. Qualcosa è scattato dentro di me. L'esigenza di vedere la scrittura non più come semplice diario di un ragazzino, ma come il desiderio d'informare le persone che mi leggevano dell'altra mia maschera, quella africana”.
Inizia così il mio incontro con Jorge Canifa Alves, scrittore di Capo Verde, che si è trasferito nel 1979 in Italia con la madre. "Se penso alla mia infanzia, vedo un bambino che corre sulle montagne di Santantao a piedi scalzi seguito da altri ragazzini anche più grandi. Ero un leader. Scherzando dico sempre a mia madre che se fossi rimasto a Capo Verde sarei diventato qualcosa d'importante nel bene o nel male. O il presidente o il capo dei banditi”. Invece a sei anni, prima Lisbona, in Portogallo e subito dopo in Italia. Gli inizi, come molto spesso accade nei racconti di vita della cross generation (o per chi preferisce della Seconda Generazione) non sono facilissimi. Anzi "terribili", come li definisce lui stesso. Abita a Marcellina, un paesino di qualche migliaia di anime, in provincia di Roma. La maestra delle elementari era molto diversa da quella delle medie. Jorge ovviamente non parlava ancora bene l'italiano e l'insegnante, invece di aiutarlo, lo mette su un banco con un foglio a disegnare, mentre gli altri bambini imparano a leggere e scrivere. La madre reagisce. Impaurita per il futuro del figlio decide che Jorge deve dimenticare Capo Verde. Il modo migliore per inserirlo è cancellare l'Africa e il creolo, la sua lingua per immergerlo nella nuova cultura. "Mia madre mi ha proibito di entrare in contatto con la parte africana, in qualche modo per proteggermi".
La vita da adolescente normale, forse fin troppo. Tutta a Marcellina, dove Jorge ha vissuto in un ambiente protetto e ovattato. Atti di razzismo veri e propri non ne ha incontrati. Solo una volta su un pullman vuoto che lo stavo portando a Roma, una signora italiana pretendeva che si alzasse e le lasciasse libero il posto. “Ma forse quello non era razzismo, era solo una donna fuori di testa”.
Jorge torna a recuperare la sua identità capoverdiana solo molti anni dopo con il racconto 'La Casa di Acqua', dove mette su carta la sua decisione di recuperare le sue radici. Questa esperienza lo mette in contatto con molti altri scrittori africani, che non immaginava neanche esistessero, perché “l'Italia è una barriera chiusa, non ti mette a contatto con le altre culture”. Incontra quindi altri artisti che come lui sono africani ma vivono in Italia. Non solo scrittori, ma anche musicisti, pittori. E' stato un momento di svolta della sua vita.
In questa rivoluzione Jorge ha cambiato tutto, anche città. "Amici che nascevano con me nella mia nuova esperienza".
Ora una nuova vita a Murcia, in Spagna. In Italia non riusciva più a trovare quello che cercava. Non è questione solo di razzismo o discriminazione. Semplicemente da noi non ci sono più possibilità per cercare la propria strada. Almeno per ora. “Ma se riesco torno”. Jorge, insomma, è uno dei 150 mila italiani che l'anno scorso hanno lasciato l'Italia alla volta della Spagna, per tentare la carta di avere un futuro.
di Francesco Bianco
“Io ho avuto la fortuna di avere un'insegnante straordinaria alle medie. Questa persona, oltre a stimare ognuno di noi come fossimo i suoi figli, cercava di tirare fuori da ciascuno le proprie caratteristiche artistiche. Ci portava dentro le storie, nel tentativo di farcela creare a noi una storia. Da qui è nata la mia passione per la scrittura. Potevo creare situazioni incredibili e personaggi fantastici. Ho continuato a scrivere brevi racconti, alcune poesie, vestendomi sempre dei panni dello 'scrittore italiano', sempre con ambientazioni italiane. Finché a un certo punto non ho riscoperto la mia parte africana. C'è stato un vero e proprio cambio. Qualcosa è scattato dentro di me. L'esigenza di vedere la scrittura non più come semplice diario di un ragazzino, ma come il desiderio d'informare le persone che mi leggevano dell'altra mia maschera, quella africana”.
Inizia così il mio incontro con Jorge Canifa Alves, scrittore di Capo Verde, che si è trasferito nel 1979 in Italia con la madre. "Se penso alla mia infanzia, vedo un bambino che corre sulle montagne di Santantao a piedi scalzi seguito da altri ragazzini anche più grandi. Ero un leader. Scherzando dico sempre a mia madre che se fossi rimasto a Capo Verde sarei diventato qualcosa d'importante nel bene o nel male. O il presidente o il capo dei banditi”. Invece a sei anni, prima Lisbona, in Portogallo e subito dopo in Italia. Gli inizi, come molto spesso accade nei racconti di vita della cross generation (o per chi preferisce della Seconda Generazione) non sono facilissimi. Anzi "terribili", come li definisce lui stesso. Abita a Marcellina, un paesino di qualche migliaia di anime, in provincia di Roma. La maestra delle elementari era molto diversa da quella delle medie. Jorge ovviamente non parlava ancora bene l'italiano e l'insegnante, invece di aiutarlo, lo mette su un banco con un foglio a disegnare, mentre gli altri bambini imparano a leggere e scrivere. La madre reagisce. Impaurita per il futuro del figlio decide che Jorge deve dimenticare Capo Verde. Il modo migliore per inserirlo è cancellare l'Africa e il creolo, la sua lingua per immergerlo nella nuova cultura. "Mia madre mi ha proibito di entrare in contatto con la parte africana, in qualche modo per proteggermi".
La vita da adolescente normale, forse fin troppo. Tutta a Marcellina, dove Jorge ha vissuto in un ambiente protetto e ovattato. Atti di razzismo veri e propri non ne ha incontrati. Solo una volta su un pullman vuoto che lo stavo portando a Roma, una signora italiana pretendeva che si alzasse e le lasciasse libero il posto. “Ma forse quello non era razzismo, era solo una donna fuori di testa”.
Jorge torna a recuperare la sua identità capoverdiana solo molti anni dopo con il racconto 'La Casa di Acqua', dove mette su carta la sua decisione di recuperare le sue radici. Questa esperienza lo mette in contatto con molti altri scrittori africani, che non immaginava neanche esistessero, perché “l'Italia è una barriera chiusa, non ti mette a contatto con le altre culture”. Incontra quindi altri artisti che come lui sono africani ma vivono in Italia. Non solo scrittori, ma anche musicisti, pittori. E' stato un momento di svolta della sua vita.
In questa rivoluzione Jorge ha cambiato tutto, anche città. "Amici che nascevano con me nella mia nuova esperienza".
Ora una nuova vita a Murcia, in Spagna. In Italia non riusciva più a trovare quello che cercava. Non è questione solo di razzismo o discriminazione. Semplicemente da noi non ci sono più possibilità per cercare la propria strada. Almeno per ora. “Ma se riesco torno”. Jorge, insomma, è uno dei 150 mila italiani che l'anno scorso hanno lasciato l'Italia alla volta della Spagna, per tentare la carta di avere un futuro.
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